Pitina

• Friuli Venezia Giulia
  
• Salumi e carni secche
• Carni (e frattaglie) fresche e loro preparazioni
• IGP

La Pitina è una sorta di polpetta affumicata, di 200 g o poco più, che assume caratteristiche simili a un salame non insaccato e dalla forma inconsueta. Può essere con carni magre di Pecora, capra o ungulati delle specie daino, cervo, capriolo o camoscio, con l’aggiunta di tagli grassi di maiale. Tipica della Val Cellina e della Val Tramontina (PN). Oggi macinata assai fine, una volta battuta con la mannaia (manarin) su un ceppo incavato di legno (pestedoria), la carne viene impastata con diverse erbe (ginepro, kümmel o fior di finocchio selvatico, semi di finocchio, achillea moscata), aglio, vino, sale e pepe, quindi pressata in forma di polpetta, avvolta nella farina di mais e affumicata per 2 o 3 giorni con legno solitamente di faggio e ginepro. Documentata dal primo 1800, probabilmente si è sempre fatta quando la caccia era buona o moriva un ovino o un caprino; un tempo si mangiava affettata e cotta brevemente nel burro o con il cao, la prima panna ad affiorare dal latte appena munto. Oggi si tende a mangiarla cruda purché stagionata almeno 40 giorni. La polenta l’accompagna in ogni caso.

COMMENTI E CONSIGLI

Il disciplinare imporrebbe l’uso di nitrati e nitriti ma, per fortuna, c’è chi non lo interpreta come un obbligo e non usa i nitriti (E250), che in un buon prodotto non devono mai esserci, qualche volta neppure i nitrati (salnitro, E252), che sarebbe meglio non ci fossero. L’Igp purtroppo non impone limiti territoriali alla provenienza delle carni ma chi dà informazioni sulla stessa va preferito perché il norcino lavora molto meglio se ha a disposizione animali interi e non tagli separati e se conosce, nel caso degli animali allevati, l’allevamento e la loro alimentazione.